Come le autorità maltesi ed europee hanno lasciato morire persone in mare e riportato i superstiti nell’inferno di guerra
Dodici persone hanno perso la vita a causa dell’azione e dell’in-azione europee nel Mar Mediterraneo.
Le Autorità di Malta, Italia, Libia, Portogallo e Germania, così come l’agenzia EU Frontex, erano state informate di un gruppo di 55 persone (in seguito si è scoperto essere 63) in mare in difficoltà, ma hanno preferito lasciare che dodici di loro morissero di stenti o affogate, mentre orchestravano il respingimento forzato dei sopravvissuti in Libia, luogo di guerra, torture, stupri.
Come mostreremo in questo report, e contrariamente a quanto dichiarato dal Governo maltese [https://www.gov.mt/en/Government/DOI/Press%20Releases/Pages/2020/April/15/pr200673en.aspx], l’imbarcazione si trovava alla deriva nella zona SAR Maltese, non lontano dall’isola di Lampedusa. Tutte le autorità hanno evitato di intervenire, usando la pandemia globale COVID-19 come scusa per infrangere crudelmente la legge del mare e ogni convenzione per i diritti umani e dei rifugiati. In primo luogo le Forze Armate di Malta, poi tutte queste altre Autorità, sono da ritenere responsabili per la morte di dodici esseri umani e per la sofferenza di decine di altri.
In nome delle vittime e dei sopravvissuti, imprigionati adesso nel disumano centro di detenzione Tarik Al Sikka di Tripoli, riteniamo le autorità responsabili per aver mancato al dovere di intervenire e soccorrere e per aver attivamente creato le condizioni affinché ciò accadesse. Questo caso, come tanti altri casi di distress ricevuti da Alarm Phone, evidenzia ancora una volta gli effetti devastanti sulle vite dei migranti causati dalle politiche europee di gestione dei confini. Non si tratta solo di inefficenza, ma di sforzi concertati per impedire a chi si trova in mare in difficoltà di ragiiungere l’Europa. Ad ogni costo.
La rete Alarm Phone, Sea-Watch e Mediterranea Saving Humans, attraverso l’impegno e la mobilitazione attiva, hanno tentato in ogni modo di evitare altre vittime, purtroppo invano. Sappiamo che niente potrà restituire agli amici e alle famiglie i loro cari, deceduti in circostanze inaccettabili. Sappiamo che i sopravvissuti si trovano di nuovo a vivere nell’inferno libico, costantemente sottoposti a torture e crudeltà inimmaginabili. Abbiamo tentato di far salvare quelle 63 persone finchè erano ancora vive, ma abbiamo fallito. Abbiamo fallito perchè attori istituzionali europei avevano già deciso di lasciarli morire.
In questo report presentiamo la ricostruzione dettagliata del caso di distress, mostrando chiaramente ciò che è accaduto e come Malta e altre Autorità europee abbiano rifiutato di soccorrere il natante in difficoltà. Abbiamo raccolto prove basandoci sui nostri contatti diretti coi naufraghi e coi loro parenti, oltre che sulle testimonianze di coloro che sono stati respinti illegalmente in Libia. Abbiamo raccolto dati sui movimenti degli assetti statali e privati in mare e in cielo. Abbiamo un’enorme quantità di documenti che mostrano nel dettaglio le comunicazioni con le Forze Armate Maltesi, col MRCC italiano, con la cosiddetta Guardia Costiera libica e con le altre parti europee, le quali o si sono rifiutate d’intervenire o hanno compiuto azioni illegali. Mostreremo alcuni di questi documenti, mantenedoci a disposizione, se richiesti, per una condivisione più approfondita.
RIASSUNTO DEI FATT
Nella notte tra il 9 e il 10 aprile 2020, 55 persone (successivamente confermate 63), di cui sette donne e tre bambini, lasciano la Libia partendo da Garabulli su di un gommone in precarie condizioni.
Venerdi 10 aprile, un assetto aereo di Frontex individua tre gommoni con naufraghi a bordo nella zona SAR libica, stando alle dichiarazioni stampa rilasciate da Frontex all’agenzia ANSA di Roma in data 13 Aprile (ore 16.14): “Nel rispetto delle procedure operative e delle leggi internazionali abbiamo immediatamente informato i Centri di Coordinamento e Soccorso Marittimo (Italia, Malta, Libia e Tunisia) fornendo le coordinate esatte delle imbarcazioni”.
Nella notte tra il 10 e l’11 aprile, i naufraghi alla deriva contattano Alarm Phone. Comunicano che il gommone sta imbarcando acqua e di aver urgente bisogno di assistenza. Dopo aver condiviso la loro posizione GPS, che li collocava in acque internazionali (N 33°41.795′, E 013°34.0124′ ricevute alle 01:52 CEST, 11/04/2020), Alarm Phone contatta le autorità competenti a Malta, in Italia e in Libia. Durante le ore successive, Alarm Phone resta in contatto con le persone a bordo del gommone e comunica costantemente le nuove coordinate e i dettagli del distress alle Autorità competenti.
Sabato 11 aprile, alle 9.20 ora locale, Alarm Phone riesce a contattate le autorità libiche telefonicamente. Essi comunicano che “La Guardia Costiera libica adesso effettua solo manovre di coordinamento a causa del COVID-19: non possiamo attuare alcun salvataggio ma siamo in contatto con Malta e con l’Italia”.
Alarm Phone mantiene il contatto con l’imbarcazione in distress. Svariati aggiornamenti di coordinate vengono condivisi con le autorità. Ciò nonostante, gli organi competenti rifiutano di operare o coordinare il salvataggio per le 55 vite in balìa del mare.
Domenica 12 aprile, ore 12.45, Alarm Phone riceve nuove coordinate (N34° 29.947′ E013° 37.803′) dal natante, che lo mostrano nella SAR maltese. Alle 14.05 le persone a bordo chiamano ancora, richiedendo disperatamente aiuto. Questo sarà l’ultimo contatto che abbiamo avuto con loro.
Nel pomeriggio di lunedì 13 aprile, in seguito alla perdita di contatto per circa 36 ore e grazie alla pressione di varie parti (vedi il salvataggio effettuato dalla ONG basca Aita Mari – https://twitter.com/alarm_phone/status/1249734230655066113), sia le Autorità Italiane sia quelle Maltesi organizzano missioni di sorveglianza aerea e finalmente identificano la posizione dell’imbarcazione in difficoltà alle ore 23.45 con coordinate 35°01’M 013°06’E.
Martedi 14 Aprile, ore 00.21, Malta invia un NAVTEX a tutte le unità (https://twitter.com/ scandura/status/1249879307813564422?s=20) “A tutte le unità in transito nella zona interessata si richiede attenzione e assistenza se necessario”. La posizione GPS coincide con la rotta in deriva dell’imbarcazione con i 55 migranti a bordo. Dal NAVTEX, traspare un rifiuto di Malta nel fornire un PoS (Place of Safety). In quei minuti, la nave cargo M/V IVAN stabilisce contatto visivo con il gommone in distress. Per l’ennesima volta, Alarm Phone contatta le Forze Armate Maltesi per chiedere se effettivamente stia avvenendo l’operazione di ricerca e soccorso.
Poco dopo, la nave IVAN (https://www.vesselfinder.com/vessels/IVAN-IMO-9112040- MMSI-255786000) si ferma a un miglio dall’unità da soccorrere, mentre Malta ordina di mantenere il contatto visivo fino all’arrivo del mezzo di soccorso. A causa delle onde alte e delle avverse condizioni meteo-marine (peggiorate dall’oscurità e dalla struttura del cargo), IVAN è impossibilitata ad effettuare il salvataggio, e aveva precedentemete ricevuto da Malta l’ordine di non intervenire. Un assetto aereo delle Forze Armate maltesi era sulla scena durante la durata dell’operazione per coordinare la IVAN e comunicare l’arrivo di due imbarcazioni.
Secondo le testimonianze raccolte dai sopravvissuti, tre naufraghi provano a raggiungere la IVAN a nuoto e affogano. Altre quattro persone, disperate, si tolgono la vita tuffandosi in mare e lasciandosi annegare. Nelle parole di un superstite: “Abbiamo gridato aiuto e cercato di farci vedere. Tre persone hanno provato a raggiungere a nuoto la nave grande quando hanno visto che si allontanava. Sono annegate. Abbiamo fatto segnali all’aereo, mostrando le luci dei telefoni e abbiamo alzato con le braccia il bambino per mostrare che eravamo in grave difficoltà. L’aereo ci ha visti di sicuro, perchè ha emesso un segnale luminoso rosso. Dopo poco un’altra imbarcazione è arrivata da non so dove e ci ha presi”.
Intorno alle 5.00, una nave “di supporto all’attività di pesca” e un’altra unità non ancora identificata sono arrivate sulla scena e hanno effettuato il trasbordo dei sopravvissuti, sotto il coordinamento delle Forze Armate Maltesi. Alla IVAN viene impartito l’ordine di andarsene.
Martedì sera, le Autorità maltesi comunicano ad Alarm Phone che non ci sono più imbarcazioni in distress nella SAR, senza dare informazioni riguardo il natante con le 63 persone a bordo. Le Autorità italiane non sembrano consapevoli dell’avvenuta operazione di respingimento, dato che continuano a sorvegliare la zona con assetti aerei, ovviamente senza esito.
Nella mattina di mercoledì 15 aprile, Alarm Phone riceve l’informazione che 56 persone sono state riportate in Libia a bordo di un peschereccio. Tra di loro ci sono I corpi di 5 persone decedute durante il viaggio per fame e disidratazione. 7 altre persone risultano disperse. Secondo i sopravvissuti, l’equipaggio del “peschereccio” ha fatto creder loro che sarebbero stati condotti al salvo sulle coste europee. In realtà sono stati deportati in Libia. Mercoledì pomeriggio le Autorità Maltesi ammettono pubblicamente di aver coordinato l’operazione (link: https://www.gov.mt/en/Government/DOI/Press%20Releases/Pages/2020/April/15/pr200673en.aspx).
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Il caso di distress era conosciuto da sei giorni dalle Autorità Europee, dall’avvistamento aereo Frontex del 10 aprile (secondo il comunicato stampa alle agenzie del 13 aprile). Da quel momento Malta, l’Italia e gli altri attori europei coinvolti in missioni nel Mediterraneo Centrale erano a conoscenza della situazione, segnalata anche da Alarm Phone durante la notte tra il 10 e l’11 aprile.
Nonostante l’impossibilità di intervenire da parte delle Autorità Libiche, dichiarata in una telefonata con Alarm Phone la mattina dell’11 aprile in cui l’Ufficiale libico in servizi afferma anche di essere in contatto con Italia e Malta, non vi è stato alcun coordinamento né intervento finalizzato al salvataggio di persone in balia del mare dopo 72 ore di agonia, in violazione della Legge Internazionale del Salvataggio in Mare (3.1.9 SAR Convention, 1979). L’obbligo degli Stati di assicurare la salvaguardia della vita in mare non può mai venir meno, anche se il caso di distress si verifica fuori dalla propria zona SAR di competenza (IMO Guidelines on the treatment of persons rescued at sea, par. 6.7).
Secondo la comunicato stampa ufficiale del Governo Maltese del 15 Aprile, Malta dichiara di aver assunto in ritardo il coordinamento, lanciando il messaggio NAVTEX, solo nella notte tra il 13 e il 14 aprile, dove era tra l’altro specificato che lo Stato non avrebbe fornito un Place of Safety, violando così la già citata cornice normativa.
Decidendo di non effettuare il salvataggio e non assicurando lo sbarco in un porto sicuro, il Governo Maltese si è reso responsabile di aver facilitato il respingimento illegale in Libia di persone in distress nella zona SAR Maltese, violando l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, gli articoli 2 e 3 della Convenzione Europea sui Diritti Umani e l’articolo 19 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Alarm Phone, in collaborazione con Sea-Watch e Mediterranea Saving Humans