L’ispezione dello stato di bandiera conferma la regolarità della nave di Sea-Watch e del suo utilizzo. Malta si oppone e continua il blocco immotivato: oggi un mese di arresto – Sullo sfondo la donazione italiana di 10 motovedette e altri soldi ai libici per bloccare le persone in fuga – SAROST e ASSO 28 segnano gravi precedenti in un processo di pericolosa regressione – Circa 800 persone avrebbero lasciato le coste libiche con i 108 della Asso 28, di circa 250 non si conosce a sorte, le altre sono di nuovo imprigionate in Libia.
In un rapporto alle autorità maltesi, il governo olandese conferma la corretta registrazione della nave di Sea- Watch. Nonostante il risultato positivo del report, Malta tiene bloccata in porto l’imbarcazione da un mese senza alcuna motivazione legittima e chiede ulteriori chiarimenti all’Olanda, senza specificare quali, relativamente all’utilizzo della nave per il soccorso in mare.
L’Italia si concentra sull’approvazione alla Camera, prevista per domani, di un decreto legge per la cessione di altre 12 motovedette alla cosiddetta Guardia Costiera libica. Intanto nel Mediterraneo i casi dei mercantili Sarost 5 e Asso 28 segnano gravi precedenti, mentre le informazioni sui soccorsi e sulla sorte delle persone bisognose di assistenza immediata in mare diventano sempre più rarefatte. Si è conclusa ieri l’odissea delle persone soccorse dalla Sarost 5 dopo 22 giorni in mare, di cui 17 a bordo del mercantile tunisino e 5 alla deriva su un barcone. Mentre non sono ancora rese note le dinamiche del caso Asso 28 che, sbarcando a Tripoli le persone soccorse in acque internazionali, a circa 60 miglia dalla Libia, potrebbe costituire un grave caso di respingimento collettivo
LA RELAZIONE OLANDESE A SEGUITO DELL’INDAGINE SULLA SEA-WATCH 3
“Il fermo della nostra nave per indagini senza alcuna indicazione di irregolarità è stata una farsa fin dall’inizio. Ci viene tuttora impedito di lasciare il porto nonostante gli ispettori olandesi richiesti da Malta abbiano confermato l’accuratezza della nostra registrazione. Non si tratta chiaramente di pratiche burocratiche ma di una campagna politica contro la flotta civile di soccorso in mare. Da oggi le autorità maltesi dovranno assumersi la piena responsabilità di ogni persona che avrebbe potuto essere salvata dalla Sea-Watch”, afferma Johannes Bayer, presidente di Sea-Watch.
Alla Sea-Watch 3 è stato negato di lasciare il porto lo scorso 2 luglio quando Malta aveva avviato indagini contro il capitano di un’altra nave battente bandiera olandese, la M/S Lifeline, a causa di questioni tecniche relative all’immatricolazione. “Questa è una punizione collettiva; come se il porto di Amburgo avesse fermato tutte le navi container, solo perché una potrebbe o meno avere un problema con i suoi documenti” dice Bayer.
“L’indagine dimostra che tutti i requisiti per l’iscrizione come nave da diporto nel registro di bandiera dei Paesi Bassi sono soddisfatti”, è scritto nella lettera che il governo olandese ha inviato ai maltesi. La nave è registrata come yacht a motore non commerciale (imbarcazioni da diporto), il governo olandese non prevede una specifica registrazione per le navi di ricerca e salvataggio.
Nonostante ciò, Sea-Watch, che si è rivolta alle autorità portuali maltesi tramite il proprio avvocato, ha ricevuto una vaga risposta che ne proroga il blocco, senza apporre alcuna motivazione tecnico-legale.
“Invece di indagare sulle navi adeguatamente immatricolate, le forze dell’ordine dovrebbero concentrarsi sulle gravi violazioni dei diritti umani che avvengono in questi giorni sotto la supervisione europea, come il respingimento operato dall’Asso 28 lo scorso 30 luglio” afferma il Capitano Pia Klemp.
“Mi chiedo se lo stesso tipo di accanimento burocratico e le ripetute ispezioni da più stati si applichino anche agli assetti forniti ai libici per il soccorso in mare” domanda retoricamente la portavoce di Sea-Watch in Italia, Giorgia Linardi.
Sea-Watch esorta il governo maltese a porre fine al blocco illegittimo della sua nave, che distoglie lo sguardo dalle necessità di intervento umanitario nel Mediterraneo e si rende indirettamente responsabile della sorte delle persone che sarebbero state potenzialmente assistite da Sea-Watch: lasciate in mare o riportate nell’inferno libico.
CESSIONE DI UNITA’ NAVALI ALLA LIBIA
Dopo la recente approvazione al Senato, domani sarà in discussione alla Camera dei Deputati il decreto legge che prevede la cessione di 12 unità navali a supporto della cosiddetta Guardia Costiera libica. Gli assetti includono 10 motovedette della Guardia Costiera classe 500 con una lunghezza di circa 10 metri, usate in Italia per il pattugliamento. “Soccorso con la 500? Meglio un pedalò” commenta un membro della Guardia Costiera italiana. Verrebbero poi donate altre 2 unità navali della Guardia di Finanza, lo stesso modello ceduto dall’Italia lo scorso anno, che si è già rivelato inadatto a prestare assistenza in mare in condizioni di sicurezza, oltre a essersi reso protagonista di diversi incidenti, tra cui quello del 6 novembre 2017, che conta più di 50 dispersi e in cui le registrazioni radio dall’elicottero della marina Italiana ricordano l’ufficiale dire ai libici: “fermatevi, vi prego, state uccidendo delle persone”.
Sea-Watch denuncia con forza la preoccupante deriva politica italiana ed europea che nega la pericolosa inadeguatezza della cosiddetta Guardia Costiera libica, alla quale continua a delegare intercettazioni in mare e respingimenti di persone vulnerabili in fuga dai centri di detenzione, in una feroce ottica di contenimento.
L’ODISSEA DELLA SAROST 5 E LO SBARCO IN TUNISIA
In giorni in cui nel Mediterraneo centrale viene impedito di svolgere le attività di ricerca e salvataggio e di testimoniare ciò che accade nelle acque al largo della Libia, si conclude in maniera preoccupante la lunga odissea della Sarost5, che per un paio di giorni non ha superato il triste record di stallo in mare segnato dal famoso caso Cap Anamur, dove la comunità internazionale si era mossa in maniera ben più determinante.
Dopo 22 giorni in mare di cui 17 bloccati al largo delle coste tunisine, le 40 persone, tra cui almeno due donne incinte, un ferito e un indefinito numero di minori non accompagnati, sono state fatte sbarcare ieri nel porto di Zarzis, scortate da 5 navi militari. Presenti allo sbarco la Mezzaluna Rossa, l’OIM e l’UNHCR. Il coordinamento del soccorso è stato rimbalzato tra Malta e Tunisia, coinvolte anche Italia e Francia.
In più occasioni le persone a bordo avevano espresso preoccupazione rispetto a uno sbarco in Tunisia e manifestato la volontà di raggiungere l’Europa. Alcuni riportano di avere parenti in Europa, altri hanno condiviso da bordo storie che fanno ritenere ci siano gli estremi per il conferimento della protezione internazionale.
I naufraghi avrebbero trascorso 5 giorni alla deriva prima di essere soccorse dalla Sarost5 su cui non avevano nemmeno la forza di salire. Stremati, sono stati trattenuti a bordo, nutriti di solo pane e latte per tre settimane, a cuocere sotto il sole estivo a poche miglia dalla costa tunisina. Governi e organizzazioni internazionali hanno lasciato che queste persone restassero in tali condizioni per tre settimane. Sea-Watch osserva con preoccupazione il cinismo con cui il braccio di ferro tra Stati lascia in sospeso la vita di persone vulnerabili. È ora fondamentale monitorare le procedure di determinazione dello status giuridico dei naufraghi, per evitare quanto meno che la loro vita sia messa ulteriormente a rischio dalle autorità che dovrebbero assumersi la responsabilità di proteggerli.
IL CASO ASSO28
Lo scorso 30 luglio la nave mercantile battente bandiera italiana Asso 28, che opera a supporto di una piattaforma petrolifera ENI, ha soccorso 108 persone a nord di Sabratha. Terminate le operazioni di salvataggio in acque internazionali, sotto il coordinamento delle autorità libiche, le ha ricondotte al porto di Tripoli, nel paese da dove sono fuggite.
Il caso costituisce potenzialmente un grave precedente, in violazione del diritto internazionale che vieta il respingimento, contenuto nell’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo Status di Rifugiato e assorbito dal ventaglio di trattati sui diritti umani. Il principio di non-respingimento ha assunto il rango di principio internazionale cogente persino sugli stati non firmatari della Convenzione di Ginevra. Non è comunque il caso dell’Italia, che quella Convenzione l’ha firmata e ha già una condanna della Corte Europea dei Diritti Umani per la pratica dei respingimenti collettivi, nel caso Hirsi Jamaa vs Italy conclusosi nel 2012 per un episodio avvenuto nel 2009. Pur non trattandosi di una nave militare, come nel caso citato, anche sul mercantile Asso 28 si applicano tutte le leggi in vigore in Italia.
La ricostruzione degli eventi della sola giornata del 30 luglio, in cui si è svolto il caso ASSO 28, conta circa 800 persone che hanno lasciato le coste libiche in fuga via mare. L’assetto aereo Colibrì, operato dalla ONG Pilotes Volontaires con il supporto dei volontari del progetto aereo Moonbird di Sea-Watch, ha avvistato almeno 5 natanti in difficoltà, mentre un controllo incrociato con le autorità libiche a Tripoli effettuato dal Liaison Officer di Moonbird Tamino Bohn conferma che almeno 560 persone siano state intercettate e riportate in Libia.
Sea-Watch chiede di fare chiarezza quanto prima sull’accaduto e sulle effettive responsabilità di uno sbarco in territorio libico operato da una nave italiana, comportante serie conseguenze per persone vulnerabili ricondotte all’inferno da cui sono scappate.
Chiediamo l’evacuazione immediata delle persone soccorse in un posto sicuro. Il recente riconoscimento della zona di ricerca e soccorso (SAR) e del centro di coordinamento dei soccorsi libico nel sistema IMO (organizzazione Internazionale marittima) non presta alla Libia i requisiti per essere considerata un paese sicuro e rappresenta piuttosto una forzatura per legittimare il funzionamento di un sistema cinico e illegale. La stessa Tunisia, per esempio, non è dotata ufficialmente di un centro di coordinamento dei soccorsi, stando all’IMO.
Foto di Sea-Watch disponibili qui
https://www.flickr.com/photos/sea-watch/albums/
Per info:
Federica Mameli
federica@sea-watch.org