Venerdì 25.05.2018, Sea-Watch 3 è stata coinvolta nel salvataggio di circa 300 persone che viaggiavano su due gommoni sovraccarichi, tra cui più di 100 minori e 14 i bambini di cui alcuni ancora in fasce e almeno 5 le donne incinte.
Una motovedetta libica è sopraggiunta causando la reazione disperata di decine di persone che si sono lanciate in acqua creando panico diffuso.
Con già 157 persone a bordo soccorse da un evento il giorno precedente, Sea-Watch 3 ha operato, nelle ore del mattino di venerdì, un doppio soccorso con due gommoni che trasportavano oltre 300 persone.
Quando una motovedetta della Guardia costiera libica è arrivata sul posto e ha cercato di prendere in carico l’operazione, tra le 30 e le 50 persone all’idea di essere riportate in Libia, si sono buttate in acqua. Le conseguenze più gravi si sarebbero potute evitare con il solo intervento da parte di Sea-Watch.
Alla luce della situazione di caos, la Guardia costiera libica, dopo aver recuperato dall’acqua tre persone, poi trasferite su Sea-Watch, ha indietreggiato e ha lasciato che Sea-Watch continuasse il soccorso: 8 le persone prese in acqua, le altre si sono aggrappate ai galleggianti disposti da Sea-Watch sulla scena e le restanti sono rimaste a bordo del gommone.
Al termine dell’operazione, dopo un primo accertamento, nessuno sembrava mancare a bordo. Tuttavia nelle ore successive, durante il trasporto verso un porto sicuro, alcuni giovani testimoni ci hanno raccontato di loro compagni di viaggio e amici dispersi: sono almeno 5 le persone scomparse, alcuni sarebbero minori appena adolescenti tra i 12 e i 15 anni.
Siamo profondamente addolorati per queste perdite; scomparire in mare significa una morte sicura e atroce. Il numero delle vittime potrebbe essere alto, non lo sapremo mai, come spesso accade. Nessuno sa quanti corpi conti il Mediterraneo.
Quando abbiamo chiesto a uno dei testimoni perché non ci avesse raccontato del suo amico scomparso, ha risposto: «In Libia c’è morte ovunque, abbiamo visto i nostri amici essere uccisi con colpi di pistola alla testa, proprio accanto a noi. Perdere compagni di viaggio è ordinaria amministrazione lì, non pensavamo fosse importante dirvelo».
La Guardia costiera libica non ha il proposito di causare la morte di queste persone. Ma ricondurle in Libia è per molte una pena ancora più grande.
Questa è stata la causa del panico a bordo del gommone e della drammatica perdita di vite umane.
È proprio dalla Libia che fuggono, lì dove hanno vissuto terribili vessazioni anche in seguito a molteplici tentativi di attraversare il mare, dopo la permanenza nelle prigioni libiche in un ciclo infernale permesso dall’UE.
Nessuno dovrebbe morire in mare nel tentativo di fuggire dalla Libia. Questa spirale di respingimenti e abusi alimentata dall’Europa deve finire.