Due navi di soccorso gestite da due ONG tedesche sono bloccate in alto mare con, a bordo, un totale di 49 persone salvate. Sea-Watch e Sea-Eye chiedono una soluzione immediata per le persone tenute in ostaggio dagli Stati europei, che negano loro un porto sicuro. Con il peggioramento delle condizioni meteo da questa sera, diventa necessaria, entro la fine del 2018, una soluzione che scongiuri rischi ulteriori per la salute delle persone.
Lo scorso 22 dicembre, la Sea-Watch 3 ha soccorso in mare 32 persone e una settimana dopo, il 29 dicembre, la Professor Albrecht Penck di Sea-Eye ha operato il salvataggio di 17 persone. A entrambe le navi non è ancora stato assegnato un porto sicuro in cui approdare.
Essere costretti a restare in mare significa prolungare il viaggio di persone stremate e traumatizzate dalla permanenza nei centri di detenzione in Libia, con rischi quotidiani per la loro sicurezza e salute. Consapevoli dell’imminente peggioramento delle condizioni meteo e del mare, entrambe le navi di soccorso hanno navigato verso nord e sono ora in attesa di sbarcare tutti gli ospiti in un porto sicuro europeo. Ora, la volontà politica e l’azione decisiva di qualsiasi autorità europea è indispensabile.
“La legge del mare dice chiaramente che il tempo che le persone devono trascorrere in mare, dopo essere state tratte in salvo da una situazione di distress, deve essere ridotto al minimo”, afferma Jan Ribbeck, capo missione sulla nave di Sea-Eye, la Professor Albrecht Penck.
“È disumano e senza scrupoli che nessuno Stato europeo si assuma questa responsabilità. Solo in Germania, oltre 30 città hanno accettato di accogliere le persone. Il fatto che siamo ancora in mare è la dimostrazione del fallimento di ogni singolo Stato membro dell’UE e, innanzitutto, per il Ministro dell’Interno tedesco“, afferma Philipp Hahn, capo missione di Sea-Watch 3.
In conformità con il diritto marittimo, Sea-Watch e Sea-Eye si aspettano che le autorità europee competenti assegnino loro con urgenza un porto sicuro, facilitando la conclusione di entrambe le operazioni di salvataggio entro la fine del 2018.
Lo sbarco a Malta sarebbe l’opzione più logica, con un accordo finalizzato a ridistribuire le persone all’interno di una soluzione europea. In passato, in circostanze in cui era stato precedentemente concordato con alcuni Stati europei, Malta ha permesso lo sbarco sull’isola di persone salvate in mare e l’immediato trasferimento delle stesse in altri paesi.
A causa delle dimensioni dell’isola e del fatto che Malta, in proporzione, offre riparo ad un numero maggiore di rifugiati rispetto a qualsiasi altro paese europeo, questo è comprensibile; tuttavia i problemi di ridistribuzione devono essere risolti a terra e solo dopo uno sbarco sicuro.
Sea-Watch e Sea-Eye stanno cercando di promuovere il trasferimento immediato delle persone in Germania per raggiungere l’obiettivo della responsabilità condivisa dello sbarco, in un porto vicino e sicuro.
Tre città federali, tra cui Berlino, Amburgo e Brema, insieme ad altre città hanno già accettato di accogliere le persone soccorse, mentre il Ministero dell’Interno si è dichiarato disponibile a cercare una soluzione nell’ambito di un approccio comunitario.
“Ieri abbiamo intravisto da lontano Malta per la prima volta” riporta Giorgia Linardi, portavoce di Sea-Watch in Italia. “I sopravvissuti a bordo si sono sporti a guardarla. Non sappiamo come spiegare loro, e ai più piccoli che scalpitano per sapere dove andiamo, che nessuno in Europa li vuole. Questo, nonostante siano persone sopravvissute all’inferno in Libia”.
Una persona che desidera restare anonima ci racconta “Ho trascorso un anno e mezzo in Libia. E’ stato un calvario. Ho sofferto molto, sono stato portato di prigione in prigione. Ho perso tanti amici. Ho provato due volte ad attraversare il mare per fuggire da quell’inferno. La prima volta abbiamo passato tre giorni sul gommone con onde di 3 metri. Stavamo affondando, c’erano più di 100 persone a bordo. Chiedo al governo italiano, per favore, smettila, smettila di ferire le persone”.